L’elaborazione del lutto nell’era digitale
Urne cinerarie digitali, lapidi interattive, profili social continuamente alimentati anche dopo il decesso dell’utente. È iniziata l’era della morte 2.0, che permette di avere sempre a portata di clic il parente o l’amico che non c’è più. Un rapporto continuo, che non si interrompe, che si prefigge di andare oltre l’ineluttabilità di un fatto naturale qual è, appunto, la morte di una persona.
Ma tutto questo come può influire nell’elaborazione del lutto? Quali sono le conseguenze in chi rimane?
Domande che si porrà il XVII Congresso Nazionale dei Gruppi di Auto Mutuo Aiuto per Persone in Lutto, in programma dal 20 al 22 marzo a Vicenza: tra i relatori lo psicologo psicoterapeuta Antonio Loperfido, docente universitario, coordinatore e conduttore di gruppi per l’elaborazione del lutto e autore di numerose pubblicazioni, tra cui l’ultimo libro “Ti ricorderò per sempre. L’elaborazione del lutto nell’era della sopravvivenza digitale”.
Dott. Loperfido, come cambia l’elaborazione del lutto nell’era digitale?
Oggi le nuove piattaforme digitali si inseriscono in un modo tutto nuovo di approcciarsi al lutto. Prendiamo l’esempio di Facebook, dove è possibile comunicare in tempi rapidissimi la morte di una persona e condividere il proprio dolore. Si stanno poi moltiplicando le proposte commerciali che permettono di ricordare costantemente chi muore. È di pochi giorni fa, ad esempio, la notizia di una madre sudcoreana che ha potuto riabbracciare virtualmente la figlia morta a sette anni grazie ad un visore per la realtà virtuale munito di guanti capaci di replicare i movimenti delle mani.
Qualche altro esempio?
La lapide interattiva, che attraverso un QR Code permette di condividere, attraverso uno smartphone, ricordi, foto, video, testi e altre memorie di chi non c’è più. O ancora l’urna cineraria digitale, che attraverso un’app collegata allo smartphone permette di inviare messaggi o pensieri floreali al defunto in ogni momento del giorno e della notte. Siamo ormai entrati nell’era del cimitero virtuale, ma io sto dalla parte del movimento umanistico, che mette in guardia sui rischi di un’umanizzazione della tecnologia e disumanizzazione dell’uomo. L’uomo non può diventare prigioniero di algoritmi, ai quali affidare ogni decisione importante relativa alla propria esistenza, come per esempio, se, malato, continuare a vivere o morire.
Tutto ciò cosa comporta per chi resta?
Fino a pochi anni fa la morte era vissuta come l’accettazione di un dato di fatto. Il rischio è che oggi non sia più così. Continuare a rivivere a distanza di anni un rapporto quasi diretto con chi è morto comporta conseguenze, anche gravi, in merito all’elaborazione del lutto. Restando ancorati al dolore non si pensa più ai progetti dell’oggi e del domani. Un esempio me l’ha fornito un uomo che ho conosciuto in un gruppo di auto mutuo aiuto, il quale mi ha detto che se non avesse smesso di alimentare il proprio dolore attraverso la continua consultazione del profilo Facebook della moglie defunta non avrebbe mai incontrato la donna con la quale sta ora progettando un nuovo futuro.
Ci sono ripercussioni anche in ambito sociale?
Certamente. Pensiamo all’isolamento individuale di chi vive in tal modo il proprio lutto. A cosa possono servire i gruppi di auto mutuo aiuto se, ad esempio, possiamo dialogare con un defunto quando vogliamo tramite un chatbot (software progettato per simulare una conversazione con un essere umano, ndr)? Chi la pensa così rischia di sprofondare in un dolore costante, che può essere causa di fenomeni depressivi.
Come giudica il quadro normativo in materia?
Non esiste nulla dal punto di vista normativo. Pensiamo a Facebook, che mantiene il potere sui dati personali anche dopo la morte di un utente. È come se la persona in questione restasse viva per sempre.
Cosa ne pensa di chi, in rete, fa business anche scherzando sulla morte, come nel caso di un’agenzia funebre diventata un caso emblematico su Facebook?
A mio parere la morte non è un argomento sul quale scherzare. La morte è uno dei due punti della linea della vita, che ha un inizio e una fine, è una compagna di viaggio che ci invita a vivere bene ogni istante della propria esistenza. Se si ridicolizza la morte, si sta ridicolizzando la propria realtà.