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L’importanza di condividere le ferite

L’importanza di condividere le ferite

“Quando ero una operatrice addetta all’assistenza in una grande casa di riposo di Vicenza mi sono confrontata spesso con la morte. Studiavo Psicologia all’Università di Padova e, grazie ai sacerdoti e a una religiosa che facevano parte della cappellania all’interno della struttura, sono stata coinvolta in un progetto per offrire supporto ai familiari di chi veniva a mancare. Nel 1997 è nato il gruppo di sostegno psicologico Rivivere. A Mottinello, nel 2000, la prima formazione a livello nazionale con padre Arnaldo Pangrazzi. Era iniziata un’avventura che nel tempo è cresciuta e si è sviluppata con i gruppi di auto mutuo aiuto, così come li proponiamo attraverso Caritas”.

La dott.ssa Viviana Casarotto, psicologa, psicoterapeuta, coordinatrice del servizio-segno Caritas “Lutto, solitudine ed esperienza del limite”, vive a Ponte di Nanto e lavora da sempre a Vicenza. La sua storia nel 2007 si è incrociata con quella di don Giovanni Sandonà, ex direttore della Caritas Diocesana Vicentina, il quale le ha chiesto di estendere a livello diocesano dei servizi per persone dolenti a causa della morte di un loro caro. Si è costituito un gruppo di lavoro, è stato attivato un centro di ascolto, un primo gruppo di auto mutuo aiuto, poi altri due e via di seguito sino ad arrivare ai 13 GAMA per persone in lutto presenti attualmente nel territorio diocesano. Dei 13 gruppi sparsi nella provincia, tre sono omogenei, rivolti quindi a persone con esperienze simili: uno rivolto a genitori che hanno perso dei figli e altri due rivolti a persone rimaste vedove in età giovanile. Dieci sono invece eterogenei, rivolti a persone con esperienze di lutto diverse.

“Tutti noi siamo stati toccati dall’esperienza della morte, siamo tutti ‘a termine’. Si tende tuttavia a evitare di parlare di questo tema, dimenticando che è un’esperienza che riguarda tutti. Ognuno ha la sua storia di lutti. È importante trovare degli spazi dove poter attraversare il dolore per trasformarlo, condividendo le proprie emozioni, per evitare che si trasformino in lutti complicati”.

Il lavoro di Viviana l’ha messa in contatto in questi anni con tantissime persone, e Susi Dalla Gassa, di Nove, è una di queste. Nel 2006 è venuto a mancare il marito a causa di un incidente stradale con il camion. Con quattro figli, Susi è entrata subito in crisi, non sapendo che cosa poteva fare.

“Avevo bisogno di parlare con qualcuno, ma è difficile sentirsi capiti in queste situazioni. Ho trovato poi altre mamme vedove, a Nove, e ci siamo riunite per confrontarci. Nel 2010 ci siamo rivolte al nostro parroco, che ci ha parlato di un servizio della Caritas adatto alle nostre esigenze. Abbiamo conosciuto Viviana, è venuta da noi e su suo suggerimento è nato in maniera stabile un gruppo per noi mamme vedove con incontri mensili, che oggi è cresciuto ed è diventato eterogeneo. La cosa più bella è vedere le persone cambiare: quando arrivano soffrono veramente tanto, di una sofferenza tangibile, ma dopo un po’ iniziano a stare meglio. Tutto questo dà un senso anche alla mia perdita, il dolore è come se si fosse trasformato in qualcosa di utile per gli altri”.

Nel frattempo Susi ha seguito un corso di formazione e oggi è una “facilitatrice”, una volontaria con il compito di accogliere e facilitare la comunicazione nei gruppi di mutuo aiuto. Oltre a Nove, dà una mano al gruppo omogeneo di Ospedaletto, per chi sperimenta la vedovanza in età giovanile, come Marco Zuccollo, 33enne di Caltrano.

“Nel gruppo ti senti capito, perché è fatto di gente che parla la tua stessa lingua. Ti rendi conto che non sei solo. Mia moglie è morta e dopo alcuni colloqui con vari psicologi, ho conosciuto Viviana e ho capito che dovevo entrare in un gruppo di mutuo aiuto, che da subito è stato per me fondamentale. All’epoca mia figlia aveva un anno e mezzo. Il gruppo mi ha aiutato non solo a stare meglio, ma mi sono arrivati consigli utili per la mia situazione e la mia bambina”.

Marco è un operaio con una grande passione per la natura e la montagna, e proprio dalla natura e dalla montagna ha imparato l’importanza di reagire.

“La vita dev’essere in movimento, se non si reagisce è facile deprimersi. Come la natura, che è sempre dinamica e reagisce a ogni piccola o grande morte. Quando succedono fatti tragici, com’è capitato a me, a volte si ha quasi paura a riprendere a vivere, c’è come un senso di colpa nel tornare a stare bene, a sorridere, invece, con i tempi adeguati, è proprio quello che bisogna fare”.

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